Tarsu
Tarsu, Tares, Tari. La tassa per lo smaltimento dei rifiuti ha cambiato tre nomi negli ultimi cinque anni, e fare confusione è facile. Fino al 2011 era in vigore la Tarsu, "tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani". Dal 2011 al 2014 la Tares, "tributo comunale sui rifiuti e sui servizi", ma dal 2014 c'è la Tari, "tassa sui rifiuti". Cambiano i nomi, ma non cambia la loro natura: soldi che i cittadini devono sborsare ai Comuni. Che cosa è rimasto uguale dalla Tarsu alla Tari? L'imposta è riscossa dal Comune, e devono pagare gli occupanti di immobili, a qualunque titolo: sia gli inquilini in affitto, sia i proprietari. La tassa si basa su una autodenuncia: entro il 20 gennaio dell'anno successivo a quello di occupazione, chi abita un immobile è tenuto a dichiarare la sua presenza agli uffici comunali preposti, che calcoleranno poi l'importa sulla base sia dei metri quadri dell'abitazione, sia del numero di occupanti, facendo così una stima della quantità di rifiuti prodotti.
Il coefficiente deciso da ogni Comune per calcolare la Tari cambia a seconda delle città. Già con la Tarsu c'era una differenza. Nel 2012 a Milano e Torino si pagavano 2,60€ per metro quadro, a Bologna 2,36€. A Roma nello stesso anno si spendevano 3,70€ al m/q, a Palermo 2,30€. A Napoli la Tarsu nel 2012 costava 4,60€ per m/q. Il calcolo della Tari è leggermente più complicato, ma funziona più o meno nello stesso modo. A Milano per il 2016 una famiglia di quattro persone paga 2,10€ per metro quadro, più 139€ di parte variabile. A Roma un nucleo famigliare delle stesse dimensioni spende 2,20€ per metro quadro, più 154€ di quota fissa, a Napoli 2,37€ più 225,38€. Va meglio a Torino, dove si pagano 1,90€ al metro quadro e 157€ di quota fissa, mentre a Bologna sono 2,72€. A Palermo 3,70€ al metro quadro. Paese che vai usanza che trovi, dice il detto. Anche nel caso della tassa sui rifiuti, la saggezza popolare ci ha azzeccato.
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